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Oltre la maschera

OLTRE LA MASCHERA…

Articolo a cura della Dott.a Marzia Serafin Psicologa e Psicoterapeuta
Il termine “maschera” probabilmente deriva dall’arabo maskharah che vuol dire “caricatura, beffa”. Ed il periodo di Carnevale è la festa per antonomasia dei gesti goliardici e degli scherzi divertenti, essi prendono il sopravvento e molti rappresentanti dell’essere adulto serioso si prendono una vacanza e si immergono in questo mondo fatto di giochi e di finzioni, dove tutto funziona al contrario. La maschera, secondo l’accezione comune, è un finto volto che viene posto sul viso allo scopo di non essere riconosciuti (Enciclopedia Italiana, 1934), questa caratteristica manifesta aspetti sia positivi che negativi.
L’aspetto positivo  viene mostrato nella possibilità, temporanea, di stare nei panni degli altri e di fare esperienze nuove. Ognuno di noi si può considerare un attore quando indossa una maschera e, allo stesso modo dell’attore, ha la possibilità di assumere le parti di altri e di esprimere aspetti di sé che, nella normalità, si  nasconderebbero. Le persone con personalità introversa, ad esempio, possono scegliere maschere da Superman, mentre le persone insicure optano per abiti di personaggi coraggiosi o appariscenti. La possibilità di essere altro ci fornisce la legittimazione anche a infrangere regole, ruoli e convenzioni e a saper ridere di noi stessi, tutto ciò ci porta a tornare bambini grazie al meccanismo della regressione (Burdi, 2005). Freud cita proprio “Arlecchino, servitore di due padroni” per sottolineare il conflitto che viviamo ogni giorno: Arlecchino, come l’Io, è tenuto a soddisfare le esigenze del padrone 1 (l’Es e gli istinti) e del padrone 2 (il Super Io e i suoi doveri). Non è mai facile andare contro il proprio essere e decidere di agire secondo convenzioni originali. La maschera nella scherma impedisce al fioretto di ferirci, nella vita di ogni giorno assumere lo stato dell’Io Bambino (Stewart e Joines, 2000) può essere una barriera protettiva che ci permette di andare oltre, di gustare il paradosso e il pensiero divergente, in altre parole apprezzare tutto ciò che non è ordinario e non è predeterminato. Dare ascolto al proprio Bambino, inoltre,  vuol dire provare piacere durante la sfilata dei carri ed essere in grado di trovare soluzioni nuove a problemi vecchi. Quando indossare una maschera è dunque protettivo e non difensivo? Quando ci si sente imbarazzati, quando è l’unico modo per farsi accettare da un gruppo, quando ci si sente insicuri. La maschera è dunque la pelle più esterna e manifesta e può rappresentare una soluzione, in alcuni casi. Se siamo consapevoli, infatti, del valore delle maschere, possiamo, con facilità, entrare nei vari ruoli che la società ci chiede e decidere, in modo autentico e flessibile, se e quando utilizzarle.
Quando invece accettiamo in modo acritico e non consapevole modelli  e stili di vita predeterminati impediamo a noi stessi di evolvere e di crescere. Maschere anonime e neutrali assumono la funzione di filtrare e bloccare l’espressione di pensieri ed emozioni, di isolare la persona autentica in una difesa finale in un mondo di violenza e di soprusi. Se osserviamo le fragilità possiamo giocare a scoprire in Arlecchino, il carattere furbo ma indolente; in Colombina l’aria istrionica o in Pierrot il carattere depressivo, a queste maschere si possono aggiungere anche quelle dell’ubriaco o del web-dipendente di oggi.
Avere una maschera quindi è costruttivo a seconda dell’uso che ne facciamo: può essere una maschera che ci nutre e protegge, altre volte è fondamentale smascherarsi…
Fai un elenco di requisiti della maschera che indossi ogni giorno (il genitore perfetto, il professionista stakanovista …) e cambia almeno un elemento della lista nella tua esperienza quotidiana!
Burdi, G. (2005) “L’ECO” n° 89. Editore F.Grimaldi , Bari
Enciclopedia Italiana (1934), Roma
Stewart, I. e Joines, V. (2000). L’analisi transazionale. Edizioni Garzanti, Milano